sabato 30 giugno 2012

La formica torna a casa + un anno dopo


[data reale del post 26 giugno 2011]
Ultima serata faccia come un pomodoro troppo maturo al Desperado,un locale dove suonano dal vivo e fanno una promozione per la birra. Con 100 pesos – circa 7 euro – ne bevi quante ne vuoi pagandole 1 peso l’una.
Ecco, non so quante ne ho bevute.
Mi sono divertita e sono tornata a casa verso le tre.


Quindi quando alle sette la sveglia ha spezzato il mio sonno e rivelato un mal di testa tipo corona di pugnali mi sono ritrovata un po’ rincoglionita. Qui la chiamano cruda.
Ho scritto qui ma non sono più lì.
Sono da qualche parte sopra l’oceano atlantico da atlanta ad Amsterdam. Per me è circa l’una di notte, ad Amsterdam sono le 9 del mattino. Arriveremo alle 13.

Dicevo a Cabo la chiamano cruda. Ecco ero un po’ cruda.
Una giornata caldissima, troppe valigie, troppe cose, e dividi quello che puoi imbarcare da quello che non puoi.
La galullo che cristona perché sono una consumista ed ho troppa roba, compro troppe cose, ho le mani bucate. Nervosa lei, nervosa la gatta, nervosa io.
Motivi diversi ma coincidenti.
Macchina stracolma di valigie e borse, inès con noi che si terrà Milù e la macchina durante l’assenza della galu.
Guardo il mare, l’arco, i cactus e non riesco a salutarli come vorrei.
Avrei bisogno di lasciar andare l’emozione e questa morsa che sento al cuore.
Guardo il cielo azzurro e mi chiedo quando mai ne rivedrò uno simile.
Cerco di scacciare il pensiero del grigiore della cappa estiva di milano per lasciare gli occhi a catturare le ultime immagini.
Vorrei piangere ma c’è troppa tensione intorno, la mia compresa.

Arriviamo a puffolandia, il terminal dei voli internazionali di Cabo: quattro gates.
Ieri sera ho fatto il check in online ma ho anche ricevuto una mail che diceva che occorreva essere in aeroporto 3 ore prima della partenza.
Quindi alle 10 e 10, precisione svizzera, ero lì.
Al punto Delta arriva un offiSer della seguridad: il check in inizia alle 11.
E allora vaffanculo!
In piedi come una cogliona ad aspettare cosa?
Saluto la galu che rivedrò a Milano e inès. E scoppio a piangere.
Il secondo abbraccio da settimane e settimane.
L’altro ieri sera da Calafia quando mi ha riportata a casa e mi ha salutata.

Piangere da soli in un aeroporto dei puffi, per giunta vuoto, non è di nessuna soddisfazione.
Mentre asciugo i goccioloni l’offiSer di prima arriva a parlare con quella dozzina di persone che, coglione come me, erano lì tre ore prima ,come richiesto.

Inizia con troppe tiritere: que pasa?
Signore, signori devo chiedere a tutti voi un favore.
Ecco, arriva l’inculata.
Abbiamo una situazione di overbooking. 4 persone di troppo.
Allora ci chiedevamo chi di voi sarebbe disposto a spendere un giorno extra in Cabo, tutto pagato resort all inclusive, trasporto e stessi voli per domani.

Nessuno.

Era anche domenica, qualcuno lavorerà pure domani no?
L’offiSer aggiunge 400 dollari per un altro volo Delta.
Maccheè? Mercante in fiera?
Una coppia chiede: ciascuno?
Sì ciascuno.

BRAM! Sei mani si alzano.
Beh totale: hanno dovuto fare la riffa per ridurli a quattro.

Facciamo il check in.
No prima del check in c’è l’ispezione.
L’ispezione?
Si l’ispezione.
Aprono le valigie di TUTTI, le aprono TUTTE, aprono tutte le pochette all’interno e controllano TUTTO.
Vedo la mia roba che vola a destra a manca e mi girano i coglioni.
Come non mi girassero già abbastanza che sto tornando a casa.

Vabbè faccio stoMMinchia di check in e, dopo aver fornito online tutti i dati ieri sera, devo ridarli tutti alla signorina al desk.
Attenzione: tutto questo con il cazzo di sombrero/disco volante che il figlio ha voluto a tutti i costi dal Messico. Domattina ad Amsterdam lo fotografo perché devo tenere una testimonianza dei questo travagliato trasporto.


Mi avvisano che ad Atlanta dovrò raccogliere i bagagli e rifare il check in.
Ossignore! That’s america, folks.

I 4 gate del terminal internazionale sembrano un supermercatino di paese. Tristissimo!
Va bene. L’imbarco è in ritardo.
Ormai sono in piedi da un tempo indefinito ma 2much!
Allora vorrei spendere due parole sul gate che mi han proibito di fotografare.
Accanto alla scritta Puerta 4 c’erano 4 segnali di divieto:
un cellulare
una sigaretta
una fotocamera
un pugnale e una pistola.

Sisi hai letto bene. Un segnale di divieto con un pugnale e una pistola sbarrati.
La porta “di sicurezza” per accedere all’aereo fa tenerezza.
E’ come una doppia porta di un negozio, con le maniglie e una catena con il lucchetto.
E queste poverette che continuano apri, chiudi, chiudi la catena.

Ok imbarcano. Ma … che fanno?
Random, con che criterio lo sa il cielo, uno di quelli che si sta per imbarcare deve lasciare che gli aprano e gli svuotino (letteralmente) i bagagli a mano, farsi passare con il metal detector fatto a paletta dei vigili e togliersi le scarpe o le ciabatte per poterle ispezionare.

Per fortuna questa l’ho scampata.

Anche l’aereo è un po’ dei puffi.
Unica cosa carina ha il wifi (quando saremo in suolo americano).
Guardo le coste e il mare di cortez.
Avrei anche sonno ma non mi viene proprio da dormire.
Poi mi connetto, parlo un po’ con la roby. Quindi chiudo perché la batteria di questo cazzo di computer dura un’ora e uno sputo al massimo.
Il capitano ci avvisa che, per i venti favorevoli, arriveremo ad atlanta mezz’ora prima e che il tempo a terra è gradevole.

Bene.

Guardo fuori e vedo delle nuvole superpanciute, super fluffy dalle forme strane e uno strano tappeto bianco che vira al grigio poco più avanti.
Sento una specie di vuoto nello stomaco, in pieno petto.
Il capitano avvisa che ci sono delle nuvole di pioggia ma ad atlanta il tempo è gradevole.
Che ce lo hai detto a fare?

SVUOOOOOOOOOOOOOOOOSH.

Sembra che stiamo scendendo a picco.
Tutti tirano un urletto, più una specie di singulto, la sorpresa e la sensazione orribile.
L’aereo comincia a ballare in ogni senso e direzione. Mi sento sollevare dalla poltrona, siamo nel nero più nero. Immersi nel nero nel quale ogni tanto brilla, minacciosissimo, un lampo. Vicino. Troppo vicino.
Gli urletti si fanno più corposi e soprattutto uno via l’altro perché non si riesce a stare in una posizione di alcun genere.
Quando l’hostess ha detto “Please don’t panic” mi sono vista morta schiantata. Manco sull’isola di lost con quei due bonazzi, ma in qualche landa della georgia.
Come cazzo ti viene in mente di dire don’t panic quando si è nel panico totale?
Se mi dici di non preoccuparmi io mi preoccupo di più.
E tutti gli altri insieme a me.

Nell’aereo un silenzio di tomba.

Abbiamo attraversato una tempesta. In pieno. Con il vento a 100 km orari. Che non so cosa significhi ma deve essere una brutta cosa perché è stato orribile e spaventevolissimo.
Il fatto è che una volta a terra, e non ti dico l’atterraggio non è finita. Anzi.
Atlanta era sotto una tempesta di quelle della televisione, vento, acqua, robe che volano.
L’aereo sulla pista di atterraggio non riusciva ad andare dritto per tutta l’acqua e il vento.
Quando si è fermato nel bel mezzo del nulla ancora si ballava tanto forte erano acqua e vento.
Intorno l’inferno di acqua e vento. Mulinelli che si sollevavano da terra in vortici di acqua che tutti osservavamo attoniti e decisamente spaventati.
Un annuncio: l’aeroporto è chiuso. Nessun aereo si può muovere, i fingers sono tutti occupati, quindi resteremo qui sino a contrordine.
Sono quelle frasi che ti fanno sentire bene. Come don’t panic.
Il comandante ci ha tenuto a precisare che nessuno perderà le coincidenze poiché tutti gli aerei sono nelle stesse condizioni. Una consolazione direi.

Oggi perdere l’aereo avrebbe un sapore e una condizione completamente diversi da quel che è successo due mesi fa.
Due mesi, son passati due mesi e sto tornando a casa. Ma intanto sono nel bel mezzo di una “storm” americana in piena regola. Ad Atlanta, Georgia.
Non avrei mai pensato che l’acqua potesse far così paura. Da noi non lo fa, non lo ha mai fatto.
Le piste sono piene di aerei, come il nostro, fermi in mezzo al nulla aspettando nuove indicazioni.
L’acqua e il vento ci fanno ballare incessantemente. Una sensazione davvero sgradevole.
Intanto mi chiedo, con lo spavento che ho preso, come farò a prendere un aereo da Atlanta ad Amsterdam e ancora da Amsterdam a Milano.

E’ passato quanto? Una vita? E il comandante ci dice che stanno liberando un finger per farci sbarcare, ma dobbiamo fare in fretta, sbarcare velocemente perché ci sono moltissimi aerei che attendono di sbarcare i passeggeri e, con gioia, ci comunica che tutti gli aerei sono in orario.

IN ORARIO?? Come in orario? Quindi mi perdo la coincidenza? Scusa prima l’aeroporto era chiuso e ora è tutto in orario? Quindi dobbiamo sbarcare alla velocità della luce e correre a vedere che ne è della coincidenza?
Mancano 2 ore alla partenza del mio volo per Amsterdam ma, memore di quel che è successo a Detroit, mi sembrano insufficienti. E poi c’è quel piccolo particolare del bagaglio e del nuovo check in.
 
Scendo al volo dall’aereo, vado al nastro dei bagagli, aspetto che faccia dodicimilionidigiri ma le mie valigie non le vedo. L’aeroporto è nel caos totale, controllato, efficiente, ma le persone hanno tutte l’aria scossa.
Le valigie sono bagnatissime, ma le mie non si vedono.
Chiedo ad un offiSer se i bagagli son tutti qui. Sì quelli del volo da Los Cabos sono finiti.
Occazzo. Vado allo sportello Delta. Ma noooooooo ma’Am, non deve spostare i bagagli, li abbiamo già spostati noi.

Ma a Los Cabos mi han detto …. No ok. Non importa. Sombrero sotto il braccio, bagaglio a mano e le due bottigliette di tequila nel sacchetto dell’aeroporto messicano.
Ho detto che ho comperato due bottiglie piccole di tequila all’aeroporto? Non mi ricordo.
Comunque all’aeroporto dei puffi ho comperato la tequila dei puffi.

Ecco, al controllo bagagli – mica speravi di evitarlo vero? – mi dicono che non posso imbarcare le bottiglie di liquido. Ma le ho comperate all’aeroporto, dopo il gate di controllo, e …..
Ma’Am non si possono imbarcare liquidi indipendentemente da dove li ha acquistati.
E allora dillo! Ce l’hai con me.
Faccio un pensierino sullo scolarmi le due puffBottiglie di tequila. Invece chiedo, e quindi? Che devo fare?

Deve andare allo sportello Delta e farle imbarcare come bagaglio in stiva. Eh? Due puffbottiglie in stiva?
Sì, oppure le lascia.
Eh no! Come le lascio? Le ho comperate da poche ore.
Madonnastiamericani!

Vado allo sportello Delta dove due ragazzone nere e sorridenti mi chiedono come possono aiutarmi.
Mi sento cretina mostrando le due puffbottiglie di tequila. E spiego che non me le lasciano portare a bordo.
Eh no ma’Am non si possono portare liquidi di alcun tipo in aereo, neppure se acquistati in aeroporto. Sì, diciamo che adesso questo l’ho capito.
Come posso fare?
Mi dicono che possono impacchettare in qualche modo le due bottiglie ed imbarcarle in stiva ma che, purtroppo, non possono garantire sul fatto che arriveranno. Esulano dall’assicurazione eccetera eccetera.
Una delle ragazzone mi guarda e vede gli occhioni tristi. Quindi si sbatte per costruire, sì hai letto bene costruire, una scatola per le mie due bottigliette.
Ho voglia di regalarle a loro per come si stanno dando da fare. E glielo dico.
Ragazze se volete prenderle voi bevetele alla mia salute. Lo preferisco al fatto che qualcuno possa trafugarle. Perse per perse preferisco le abbiate voi.

Mi sorridono. No ma’Am, adesso facciamo una scatola perfetta e vedrà che la troverà al suo arrivo a …. Milano? Italia? Wow! Bella Italia, con un accento alla Louis Armstrong. Mi fanno sorridere, nonostante la tensione della tempesta e del prossimo volo che, diciamolo, un po’ di ansia adesso me la mette.
Le ringrazio infinitamente e ritorno al controllo bagagli. Sempre con il sombrero arrotolato sotto al braccio. Giuro che se poi mio figlio non se lo mette e non lo usa glielo faccio mangiare! (per la cronaca le puffbottiglie sono arrivate insieme ai miei bagagli a Malpensa)

Mi sciroppo un paio di file, un paio di sfilatilescarpe rimettitilescarpe, fai il bodyscan, fai passare i bagagli sul nastro, sì anche il sombrero. Ma-Am cosa c’è dentro al sombrero?
Cosa c’è dentro al sombrero? Ah sì il mio cappello messicano, quello che ho tenuto ogni giorno degli ultimi due mesi. Un’altra delle cose che in valigia non ci stava.
Possiamo vedere?
No, come possiamo vedere? Devo svoltolare il sombrero, farvi vedere l’altro sombrero e poi richiudere? Non ce la posso fare. E’ stata un’impresa titanica arrotolare quel sombrero con dentro il sombrero (io l’ho detto dal primo momento che il cappello normale non si dovrebbe chiamare sombrero ma vabbe’ …)
Adesso devo svoltolarlo? Non riuscirò mai più a rimetterlo come prima.
Svoltoliamo, ok va bene, operazione riarrotola il sombrero farcito di sombrero. Non è proprio come a Cabo. Infatti prima di arrivare a casa il cappello piccolo mi scivolerà fuori dal sombrero grandissimo più e più volte.

Ok. Controlli passati, cerchiamo il gate.
Il gate è lo stesso di quando ho fatto Atlanta-Cabo. Allora aveva l’aria allegra della terra del sud. Oggi mi pare infinitamente triste.
Ha smesso di piovere. E tutte le attività sulle piste ed intorno riprendono come se niente fosse.
Anche qui controlli random sui bagagli a mano, le scarpe, le ciabatte. Scampo anche questa. Meglio. Non ce la potevo fare a riarrotolare il sombrero e risistemare il bagaglio nello zainone.
Questa volta mi son scelta il posto sapendo com’era fatto l’aereo. Sono affacciata sul corridoio quindi posso allungare le gambe di traverso.
Gli orari sono un’opinione. Qui il fuso e di due ore rispetto a Cabo. E andiamo a perdere sei ore durante il viaggio verso Amsterdam.
Per il mio orologio biologico viaggeremo tutta la notte arrivando in olanda alle 7 del mattino. Nella mia percezione. In realtà saranno le 13.

In aereo ci danno la cena e ci chiedono di chiudere tutti gli oblò.  L’aereo rimarrà tutto il volo con le luci notturne, quindi quasi inesistenti. Io non ce la faccio a dormire. Un po’ per lo spavento del volo precedente al quale cerco di non pensare e un po’ perché sto tornando a casa.

Casa. Cosa vuol dire casa? Ecco appunto cosa vuol dire? E cosa vorrà dire tornare a casa oggi, domani … sono un po’ confusa sulle date e le ore.
Non ne ho voglia. Di tornare a casa. Avrei avuto ancora tanto da fare in Messico. Non ero ancora stanca, non avevo nostalgia. Ce l’ho adesso, eppure l’ho lasciato da un pugno di ore.
Sento la musica e mi vien da piangere. Mi sento piccola e sola.
Gli oblò chiusi fan tristezza e  danno una sensazione di imprigionamento.
Verso le 6 del mattino (ora americana) ce li fanno aprire e ci danno la colazione. Tra un’ora saremo ad Amsterdam. Qui il sole è quello del mezzogiorno estivo.

Chissà perché i viaggi di ritorno sono sempre così lunghi e stancanti? Credo però dipenda sempre da dove si arriva e dove si ritorna.

L’aeroporto di Amsterdam è bellissimo ma non ho la forza di guardarlo, di fotografare, di incamerare immagini e informazioni. Ne ho tante che mi scorrono ovunque, dagli occhi alle vene.
Le prossime ore saranno di impatto con l’europa e quindi con l’Italia.
Traumaticamente. Non sono mai stata via così tanto in tutta la mia vita. E non è stato difficile star lontano quanto ritornare.

Arrivo e non c’è nessuno ad aspettarmi. Lo sapevo. Ma questo non lo rende meno triste.
Malpensa Express. Lungo, troppo lungo. Fa caldo, sono stanca e adesso non vedo l’ora che questo viaggio finisca. Di posarmi in un posto senza dover trasbordare, portare bagagli, fare controlli.
Chiamo casa. Avviso quando arriverò con il taxi da cadorna e verranno ad aiutarmi con i bagagli.
Eccomi. Son qui. Son tornata.

Fine.


30 giugno 2012: c’è voluto un anno intero per trovare la forza di pubblicare la fine del mio viaggio in Messico. E’ come se me ne fossi dimenticata. Come se lo avessi voluto dimenticare.
Lasciare tutto sospeso con Mercedes Sosa, quell’energia positiva che avevo ancora scrivendo da quella terra incredibile.
E’ successo di tutto in questo anno. Mi son separata da mio marito, mi son separata da tante cose materiali. Alcune con facilità, leggerezza. Altre con un peso immenso.
Oggi rileggere quello che ho scritto un anno fa sotto lo sguardo inquisitorio di Milù fa una dolorosa tenerezza.

Ma soprattutto ho trovato me.
Dopo tanto vagare, tanto cercare: ho trovato me.
Ho trovato il mio carpe diem.
Ho ritrovato la voglia di far progetti anche a lungo termine perché se la vita deve finire domani lo farà comunque. E morire senza un progetto è tanto peggio di morire senza averne avuto uno. Anche se incompiuto o irrealizzato.

Riletto oggi qui, nel caldo dell’anticiclone Caronte – ma checazzodinomeè? – a casa sola per i prossimi tre mesi. Filippo è in Calabria a lavorare da quasi un mese, ormai.
E’ successo di tutto in quest’anno. Di bello, di brutto. Di orribile.
Di meraviglioso ancora no. Solo qualche fugacissimo attimo troppo veloce per riuscire a fermarlo abbastanza da assorbire la meraviglia dalla pelle, dai pori.
Ho perso tante cose e tante persone per la strada. Le ho lasciate andare e loro lo hanno fatto.
Mi son resa conto che avevo male alle braccia tanta era la forza di cercar di tenere tutto insieme, di trattenere cose, persone, situazioni.

Dopo un anno sono diventata una persona solitaria. Non la sono mai stata ma la sono diventata.
Ho le spalle appesantite da responsabilità che ora sono solo e soltanto mie. E si sentono schiacciare, qualche giorno tolgono il fiato.

La speranza che mi aveva colta in Messico all’annuncio della vittoria di Pisapia a Milano si è miseramente accasciata con l’avvento del governo Monti, della Fornero. In questi giorni si stanno decidendo le sorti dell’Europa. Italia, Grecia, Spagna sono strette in una morsa di crisi che letteralmente uccide le persone.
I suicidi per mancanza di danaro, di lavoro, di prospettiva sono all’ordine del giorno.
Quello che trovo terribile, ogni giorno di più, è che la gente non sorride più. Ci siamo fatti scippare i sorrisi.
Sono tutti incazzati, svuotati, delusi. Morti. Nessuno reagisce più a niente come si dovrebbe.
Le donne vengono ammazzate su base quasi quotidiana dai mariti, dai compagni, dagli ex.
I processi hanno epiloghi scandalosi.
C’è stato un terremoto in Emilia che l’ha messa in ginocchio. Tanti crolli, tanti morti.
Non c’è lavoro.
 
Io ho inventato laformica Noir. E mi sono cimentata in cose mai neppure immaginate prima, costruire un sito dal nulla, creare una sorta di comunicazione, vendere, vendermi.
Farmi da agente, da procuratore e da prodotto.
Ho trovato delle location meravigliose. Ho lavorato in posti magici.
Ora c’è un momento stagnante che dura da un po’ troppo. Tre mesi che non faccio nulla.
Forse a luglio qualcosa si muoverà. Ho una data certa e due opzionate.

Ho imparato a far da sola. A pensare tutto da me. Scoprendo che si può fare. E’ faticoso, talvolta tanto da piangere, ma si può fare.
Ho imparato a pitturare i mobili, in occasione della mia entrata ufficiale nel buddismo. Ho imparato ad usare il trapano e la smerigliatrice. Ho imparato a stendere la foglia d’oro (in tutta onestà non benissimo ma fingo che sia un effetto voluto).
Ho perso 22 chili con una dieta per il mio metabolismo.
Ho ritrovato l’idea di femminilità.
Ho comperato dei vestiti, dopo trent’anni che non ne indossavo uno.
Scopro e mostro le gambe, metto i tacchi.

Non ho ancora trovato l’amore. Neppure quello fisico, quello di qualche attimo o qualche ora.
Sono ancora orfana di mani e di baci.
Ho qualcuno in mente ma sono alla finestra.
 
Mio figlio sta diventando un uomo meraviglioso. Ha perduto quella “bambinezza” fastidiosa per diventare un giovane uomo responsabile, attento, premuroso. Restando simpatico e brillante.
Ha le note in testa e compone musica per orchestra che mi entra dritta nel cuore.
 
Ho rafforzato alcune, poche, vecchie amicizie, ne ho trovate alcune, poche, nuove. Ma sono salde.
Hanno una caratteristica di solidità, di presenza, di costanza che mi serviva.
E’ questo il significato di “pochi ma buoni”?

Ho scoperto la solidarietà. Quella vera. Quella delicata.
Mi son trovata ad osservare gli altri che fanno cose per me che mai nella vita avrei pensato possibile.
E mi ha stupita e mi ha fatta sentire la donna più amata del mondo.

Nelle terribili difficoltà in cui mi trovo ogni giorno qualcuno, qualcosa riesce a stupirmi.
Con un pensiero, una attenzione, una più sostanziosa e materiale “mano” in ogni senso.
Ho trovato la reciprocità. Dare e avere. Ho imparato a chiedere ed ho imparato a prendere. Ho imparato ad accettare.
 
Domani? E chi lo sa?

 Domani è  un altro giorno, si vedrà (Ornella Vanoni)


domenica 26 giugno 2011

Salutando il Mexico

Tante cose sono successe in questi giorni qui, dall’altra parte del mondo.
Beh in primis ci sono venuta e direi che non è davvero poco.
Ho fatto tanto ma in realtà non ho poi fatto nulla.
Ho vissuto quello che c’era da vivere, ho preso quello che il tempo, il caso e il posto hanno offerto.
Mi sono rappacificata con il sole e con il mare.
Ho conosciuto il deserto e mi ha accolta.
Ho conosciuto i rapaci e mi sono innamorata del loro volo guardandoli incantata dal primo giorno all’ultimo come se fosse ogni volta la prima occasione che avevo di vederli.
Ho imparato molto sulle donne del Messico. Sull’orgoglio di una nazione.
Mentre ero qui a casa nostra, in italia, il vento è cambiato ed un’aria nuova, più pulita circola. Si sente sin da qui.
Speriamo che duri. Ma ora dico “Perché non dovrebbe durare?”
Ho ascoltato il ruggito dell’oceano e mi ha completamente rapita.
Ho conosciuto il mondo nascosto dei pesci, una minuscola porzione, ma sufficiente a fugare il mio terrore delle profondità dell’acqua e ad innamorarmi di quella vista.
Ho nuotato con i delfini ed è un’esperienza che va proprio fatta. Perché è incredibile.
Ho parlato con il mare, con il vento, con il sole che tramonta.
Ho festeggiato il sorgere della luna piena in modi incredibili.
Ho celebrato il solstizio d’estate tra il vento e il mare.
Ho scoperto cosa vuol dire vivere con poco, di poco ed esser felici. Felici davvero.
Ho imparato che può esistere una vita piena di musica e di danza. Ma soprattutto di voglia di far musica e di voglia di ballare. Ad ogni minima occasione che si presenta.
E, soprattutto, che non occorre chissà che agio o che prospettiva o progetti e realizzazione personale per far musica e ballare ogni singolo giorno.
Ho imparato che i cactus non sono solo una cosa che punge (come avevo creduto da bambina dove son riuscita a riempirmi di spine urtando i cactus dei nonni in giardino) ma sono alberi, veri e propri. Fieri e resistenti. Forti.
Ho scoperto quante tonalità diverse possa avere il colore della terra riarsa e delle sterpaglie.
Ho vissuto l’eccitazione di un secondo di incontrare un’oasi in mezzo al nulla e vederla andar via in un battito di ciglia.
Ho perso anche qualcosa. Fardelli, cinture, manette, gabbie della mente.
Ho perso il timore di mostrare la mia pelle nuda, bianca (anche se ora un colorino ambrato ce l’ha) e tutte le mie cicce.
Ho perso il bisogno di coprirmi sino all’esasperazione in favore di uno scoprirmi per vivere l’aria sulla pelle, la frescura che l’assenza di troppi abiti regala.
Ho perso la vergogna di farmi fotografare. Non mi piace rivedermi. Continua a non piacermi e mi vedo troppo grassa, troppo tutto.
Ma, e questo è impagabile, mi vedo anche felice.
Vedo la mia faccia felice, finalmente! E ritrovo, guardandola, la felicità di quell’istante.
E allora val la pena di fermarlo. E forse con il tempo smetterà anche di essere una pena. Seppur più piccola oggi.
Ho perso il timore di essere goffa. SONO goffa. In alcune cose davvero tanto. Sono un donnone di più di cento chili, sono alta un metro e un puffo e alcune cose mi vengono male, altre non mi vengono più e tante son piene di goffaggine.
Sono goffa. Ma sono io.
Ed ho mani capaci di creare collane che tutti amano e che rendono felici le persone che le indossano.
Anche qui. Dall’altra parte del mondo sono caduti in amore con le mie collane. Qui dove l’uso e il gusto sono totalmente differenti.

Ma soprattutto ho trovato me.
Dopo tanto vagare, tanto cercare: ho trovato me.
Ho trovato il mio carpe diem.
Ho ritrovato la voglia di far progetti anche a lungo termine perché se la vita deve finire domani lo farà comunque. E morire senza un progetto è tanto peggio di morire senza averne avuto uno. Anche se incompiuto o irrealizzato.
Giusto oggi sono inciampata in una frase di Coelho

Never save the best for later. You don't know what tomorrow holds

Direi che sopperisce alla mia totale mancanza di sintesi ...
Ho ritrovato la leggerezza. Il valore del vuoto.
Ho scoperto che tutti gli oggetti di cui mi sono circondata negli anni son diventati superflui oggi. Persino noiosi. Tanto che me ne disferò.
Nel modo più dolce possibile. Perché sono stati compagni di viaggio preziosi ed hanno sopportato tutta la mia folle necessità di ammucchiarli gli uni sugli altri.
E ho ritrovato altri valori e altri sentimenti che, però, sono privati e non li condividerò con voi. Forse neppure in privato. Forse neppure a quattr’occhi.
Questa è una grande novità. Qualcosa di privato. Di solo mio. Talmente solo mio che non ha necessità di essere condiviso con alcuno.
Ho scoperto che non ho più bisogno di stampelle, di supporto, di conforto. Non in senso patologico, almeno.
Non ho più bisogno degli oggetti psicomagici, di quelli scaramantici, di quelli di scorta.
Leggerezza. Alleggerire. Anche se torno con 50 chili di valigie e un sombrero enorme sottobraccio.
Torno più adulta ma anche più bambina. In un modo in cui non la sono mai stata.
Con l’incanto negli occhi che questa natura e questi paesaggi hanno riempito.
Con la curiosità, la fame di sapere, la voglia di leggere, cercare tutto il possibile su questa parte del mondo di cui non so nulla e che è, invece, incredibilmente affascinante e ricca e colorata e sfaccettata.
Perché anche se per molto tempo ho stentato a crederci sino a smettere totalmente di crederci, tutto cambia.
Tutto può cambiare. Quello che non è successo in una vita intera può succedere in un istante.
Nel bene e nel male.
Ma voglio pensare solo al bene. Al male ci si deve pensare già troppo se e quando accade.
Tutto può cambiare anche se è difficile. Di certo succede solo se ci si crede.
Con grande forza. Ma anche con grande leggerezza e serenità.

E, citando la canzone con la quale voglio chiudere questa avventura, “e così come tutto cambia, che io cambi non è strano”.
Sono cambiata.
Sto cambiando mentre scrivo.
E continuerò a cambiare sinchè avrò fiato.



Le due Frida - Frida Kahlo


Todo Cambia 

Cambia lo superficial
cambia también lo profundo
cambia el modo de pensar
cambia todo en este mundo


Cambia el clima con los años
cambia el pastor su rebaño
y así como todo cambia
que yo cambie no es extraño


Cambia el mas fino brillante
de mano en mano su brillo
cambia el nido el pajarillo
cambia el sentir un amante


Cambia el rumbo el caminante
aunque esto le cause daño
y así como todo cambia
que yo cambie no extraño


Cambia todo cambia
Cambia todo cambia
Cambia todo cambia
Cambia todo cambia


Cambia el sol en su carrera
cuando la noche subsiste
cambia la planta y se viste
de verde en la primavera


Cambia el pelaje la fiera
Cambia el cabello el anciano
y así como todo cambia
que yo cambie no es extraño


Pero no cambia mi amor
por mas lejos que me encuentre
ni el recuerdo ni el dolor
de mi pueblo y de mi gente


Lo que cambió ayer
tendrá que cambiar mañana
así como cambio yo
en esta tierra lejana


Cambia todo cambia
Cambia todo cambia
Cambia todo cambia
Cambia todo cambia

Despedida - Sabato messicano


Qui si salutano le persona in un modo differente a seconda che arrivino o partano.
Per le partenze, qualsiasi, si fa una festa di “despedida”.
Oggi alla spiaggia c’è stata quella de las italianas.

Ho visto arrivare Conchita e Calafia praticamente con la casa appresso.
Sembrava un picnic degli anni 60 ma con una super organizzazione, velocità e gestione della sabbia da restare a bocca aperta.

C’erano le tostadas di sinaloa, una insalata di una verdura che non saprò mai cosa fosse, insalata con carne e boh piccante, cetrioli e arancia a pezzi, mango, uva, vino bianco, birra.
Con tanto di piatti, posate, brindisi alla despedida.
A parte l’occasione della nostra partenza qui il sabato Choyero (il nome degli abitanti originari del posto) alla spiaggia è così.
Con il frigo, le ceste, l’ombrellone, la tovaglia. Una meraviglia.

Oggi una giornata spettacolare. Il sole caldissimo, l’acqua di un blu incredibile fredda gelata come mai mi era capitato di trovarla in questi due mesi e il vento.
La conversazione è stata piacevole anche se in 3 lingue differenti.
Mi mancano le “cose da ragazze”. Si ride, ci si parla in un modo diverso. Non so è qualcosa che riesco a fare ma troppo raramente a  milano, troppo poco.
Oggi è stato un pomeriggio da ragazze, alla sex and the city.
Commenti sui culi dei maschi che passavano.
Raggi x a bermuda, pettorali. Commenti di ogni genere.
Noi con i calici e il vino.
Calafia con il vestitino e un cappello bianco sembrava uscita direttamente da “piccole donne”.
Avrei voluto farle una foto ma non ho fatto in tempo.
Era in riva al mare, con una mano si reggeva il cappello e con l’altra sorseggiava il vino dal calice.
Il vento le muoveva l’orlo del vestito e i capelli.
Romantica. Bella. Pulita. Un bel ricordo.
Conchita ha pianto quando mi ha salutata e mi ha dato un abbraccio di quelli belli, stretti, come piacciono a me.

Sei ore di spiaggia ed ora il mio viso è color …. Bah rosa messicano? Fucsia? Insomma troppo sole.
Una fatica incredibile per cercare di far stare tutto nella valigia che sembro una di quelle pazze dei film americani sedute su valigie piene il doppio della loro capacità.
L’ansia sarà tutta nel portar giù le valigie di entrambe, arrivare all’aeroporto, fare il check in con il terrore che pesi troppo, che il sombrero sia considerato eccedente, i controlli ….
Ma insomma una volta passato il controllo messicano il più sarà fatto.
Poi si tratterò di passare attraverso un numero infinito di altri controlli in america ma senza avere più a che fare con peso, dimensioni o altre cazzate del genere.

Aaaahhhh! Quasi dimenticavo la parte più divertente del pomeriggio.
 Il compleanno della galullo è uscito sul periodico della Baja California Sur.
E la foto più grande della mezza pagina ….. tadaaaaaaaaan … è con me e i palloncini.
Sono perfettamente allineata con l’italia e uno dei temi della maturità.
«In futuro tutti saremo famosi al mondo per almeno 15 minuti» Andy Warhol.
Questi sono i miei.



Sono pronta per uscire. Vediamo cosa mi riserverà la serata.

sabato 25 giugno 2011

Ultimi giorni

Gli ultimi giorni in Cabo.
Atmosfera strana, perché son strana io e anche perché c’è stato l’uragano Beatriz che ha fatto danni ad Acapulco e qui c’è stata un’aria orribile, umido, soffocante, grigio. Lunare e un po’ impressionante.

Ultimi giorni e ultimi desideri da realizzare.
Ho mangiato la paleta hielada di mango con chile. Buona, devo dire davvero buona …. A parte il fatto che poi le papille gustative vanno in anestesia per un paio d’ore e non hai bisogno di rossetto perché le labbra sono vermiglie per conto loro.
Siamo riuscite a trovare i churros anche se non sono come quelli spagnoli e qui li farciscono di creme varie. Mi sono tenuta su un classico cioccolato (che poi era nutella) e mi sono tolta anche sto chiodo del churro (visto che rompo da due mesi che ne voglio mangiare uno!).

Le ragazze qui si sono scatenate sul fatto che non posso tornare a milano senza aver “riaperto la sala giochi”. Ma non è quello che cercavo, non è quello che cerco.

Quello che cerco, no non è vero non lo cerco … quello che desidero, più di ogni altra cosa al mondo oggi, è un bacio. Una serie di baci, meglio.
Una mia amica mi ha mandato la foto di due amici suoi che si danno un bacio che meriterebbe di essere rimpiazzato alla gigantografia che ho a casa mia del bacio di Doisneau.
Sembrano sposi vero? Invece no, credo siano ad una festa.




Guarda quanta poesia c’è in quella mano posata sul braccio di lei. Come dice “è roba mia” nel senso più bello del mondo.
Queste sono le fotografie che fanno male agli occhi quando le tue labbra sono orfane da ormai più di cinque anni.

Ma non è questo il luogo per parlare di queste cose.

Oggi ultimo giorno.
Tra poco andremo alla spiaggia. Ultimo sole, ultimo bagno.
Poi finire le valigie, giusto le ultimissime cose da buttarci dentro.
Infine la serata fuori con le ragazze.
Musica dal vivo, karaoke (vuoi vedere che riesco a cantare per la prima volta al karaoke?) e un salto al “El squid roe” LA discoteca di Cabo.
Ho anche una sfida aperta tequila contro vodka (non mi piace tanto la tequila) a chi si imborracha prima con Calafia.
Vedremo, ma credo la sua resistenza sia di lungo inferiore alla mia.
Se va male domattina avrò un cerchio di pugnali in testa e dormirò tutto il viaggio.
Ma chiudere così è un’idea che mi piace.
Vado a salutare il Messico …

giovedì 23 giugno 2011

Solstizio d'estate


Solstizio d’estate.
Uno dei momenti più energetici dell’anno.
Inizia l’estate, finisce la mia pausa.

Alle sette siamo andate, con la galu e calafia alla playa de las viudas, la spiaggia delle vedove.
E’ un posto bellissimo, pieno di sassi, rocce, scogli.
Ripensandoci alcune rocce ricordano Stonehenge.
Strane forme, pertugi nelle rocce che sembrano creati apposta per accenderci il fuoco.
Noi questa sera non lo faremo. C’è troppo vento e non resisterebbe.

La luce è già quella lunga, rosata del sole che sta per tuffarsi dietro ai monti della Sierra.
Faccio poche foto, voglio concentrarmi su altro.
Su questo momento, la natura, l’energia.
Abbiamo con noi dell’incenso, dei fiori, vino.
Si canta qualche canzone, e si ascolta il rumore della natura, di tutti gli elementi.
Rendendo grazie per quello che di buono abbiamo avuto, chiedendo qualcosa per noi, per gli altri. E lasciando andare qualcosa, se serve.
Un po’ di riso a rappresentare l’abbondanza.
Un momento molto intimo, sereno, rappacificante.
Le pietre, la festa del solstizio, la cerimonia mi ricordano i Druidi e i celti. E Lot, ma questa la capiranno davvero in pochi.

L’incenso sa di buono, è quello vero e viene dal Chiapas.
Versiamo il vino e brindiamo alla vita, al sole, alla forza.
Il mare si rompe sugli scogli con un suono che è meraviglioso.
Coppiette arrivano e si appartano, il posto è davvero romantico.
Il vento è fortissimo e tutto ha un’intensità spettacolare.

Saluto questo mare, saluto questo sole.
Dando il benvenuto all’estate ho iniziato anche a dire il mio arrivederci al Messico.
Perché questo non è un addio. E’ un arrivederci.

Carpe diem

E’ morta mia suocera.
Questa notte, nel sonno. In una residenza sanitaria per anziani, un nome delicato che si sono inventati per addolcire la definizione di “ospizio”, nella quale stava da tre anni.
Si è lasciata andare. Ad un certo punto, qualche anno fa, si è lasciata andare e si è spenta.
Ha spento la testa,  almeno. E da parecchio tempo non riconosceva neppure più suo figlio.
Di salute stava più che bene e, per fortuna, se n’è andata come aveva sempre desiderato, senza soffrire, senza terapie, sondini, interventi o altro. Ha dato l’ultimo giro al suo interruttore e si è spenta del tutto.

Ricevere questa notizia nei miei ultimi giorni messicani è stato come uno schiaffo in pieno viso.
Di quelli forti che ti lasciano stordita.
Eri in un sogno e sapevi pure che sarebbe finito, anzi stava per finire, una manciata di ore, qualche pomeriggio e si tornava alla realtà.
Invece no. Tutto insieme in un secondo nel cuore della notte.
Un sms. E’ morta mia madre. Ci sentiamo su skype più tardi.
Questo nuovo elemento nella già fragile equazione di “il mio futuro uguale ?” arriva inaspettato e mi fa lo sgambetto.
So che suona orribilmente ma vorrei riuscire a congelare le ultime ore e tornare indietro a ieri sera.
Scongelare la mia realtà, quella che mi aspetta al varco, solo quando avrò “varcato” quella soglia.
Solo tornata a casa.

Non parlerò qui di quello che provo anche perché è chiuso in una parte che ho accantonato, ibernato per questa pausa dall’altra parte del mondo.

Oggi la giornata è stata strana, lunghissima e completamente senza senso.
Quello che so è che siamo fragili, tutti. Che quello che non facciamo oggi è perso per sempre. Che la vita che cerchiamo di evitare o rimandare non la ritroveremo.
E quindi voglio celebrare la vita. La sua instabile bellezza, gli attimi da afferrare perché non sai se passeranno ancora.
Anche i suoi momenti difficili.
Perché è attraverso le difficoltà che si raggiungono le stelle.
E io, alle stelle, ci voglio arrivare.




















Ciao Pinuccia, spero tu abbia trovato la pace ora, dovunque tu sia.

mercoledì 22 giugno 2011

Il compleanno


Ed è arrivato.
Il giorno in cui anche la galu volta il mezzo secolo.
Fa impressione a dirsi, fa impressione anche averli.

Chiedo alla galullo come si dice “lasciare” in spagnolo.
Lei mi chiede ma lasciare tipo che lasci un fidanzato? Che lasci … non so tipo “Devo lasciare questa cosa per la festa di questa sera al ristorante di gigi?”
Eccheppalle! Fingi almeno no?

No.
Tonnellate di mail e di messaggi in feisbuc e telefonate.
Mi legge l’oroscopo del giorno. Il suo. In inglese dice qualcosa che finisce con “Don’t be  abrasive.  In other words: be nice!”
Stavo per scaravoltarmi dal ridere ma mi sono davvero ribaltata quando, serissima, dopo averlo letto ad alta voce in inglese si è girata verso di me ripetendomelo in messicano.
Galuuuuuuuuu!! Sono io. L’avevo capito già in inglese!
Beh è invecchiata anche lei!

Ho delle cose da comperare e portare al ristorante ma devo aspettare che lei vada a lavorare.
Esce a mezzogiorno. Un’ora più calda no eh?
Mi metto addosso una vestitino veloce ed esco.

In cartoleria.
Allora qui manca tutto, persino l’acqua che non si può bere dal rubinetto, ma ci sono tantiiiiiiiissimi negozi che trattano solo articoli per feste. E papelerie, enormi, che lavorano tantissimi.
Qui vicino ho visto Anita. Ho chiesto alle due bionde e mi han detto che va bene.
Ora tutto sta a farsi capire per il biglietto e il palloncino da mettere in tavola.
Ovviamente in cartoleria nessuno parla inglese.
Insomma mi faccio capire, suscitando ilarità, prendo il biglietto di auguri, il palloncino e le candeline. Cinquanta. Così impara!
Combattere contro il vento portando il globo non è facile. Il palloncino è uno di quelli di carta tipo metallizzata gonfiato ad elio. Leggerissimo e senza appigli per trattenerlo, quindi si piega al vento.
Arrivo al ristorante e lascio al ragazzo il globo e un sacchetto con le cinquanta candele magiche, quelle che non si spengono.
La giornata è stata piuttosto piena.
Ho intrecciato parecchie collane da portare questa sera visto che le avevano chieste.
Poi arriva la galu dal lavoro, cosa mi metto, cosa non mi metto. Cosa ti metti tu.
Cosa sta bene con questa collana?
Decidere il vestito e cambiare tutto all’ultimo.
Anche qui, tutto regolare.
Arriviamo al ristorante e non c’è nessuno.
Se la festa inizia alle 7, in Messico, alle sette non c’è nessuno. Neppure la festeggiata.
Infatti siamo arrivate alle sette e mezza. E ancora non c’era nessuno.

Arrivano alla spicciolata portando regali, fiori, un altro globo (più bello del mio ggggrrrrrr)
Il cameriere che abbiamo incontrato l’altra sera mentre discutevamo i dettagli della festa mi porta una Pacifico via l’altra. Non faccio a tempo a finire una bottiglia che lui arriva con una nuova. Mi va di lusso direi.

Gi invitati sono diversi tra loro che di più non si potrebbe.
Francesi, italiani, argentini, messicani di varie parti del messico.
Non tutti parlano inglese, io non parlo lo spagnolo. C’è un francese che, come fanno sempre, parla la sua lingua appena può.
Discutere in francese, inglese, spagnolo e pure italiano con gli italiani: altro che torre di Babele!
La galu è felice, si vede. La fotografano tutti come una diva di Hollywood.

Arriva Calafia con la valigia “molto ben camuffata” . La porta dalla maniglia che sbuca dalla carta regalo e la fa camminare sulle quattro ruote. Chissà cosa sarà mai?
Vino, birra, pasta cotta bene. I proprietari sono veronesi ed emiliani. L’adattamento al Messicano è d’obbligo e mi ritrovo a mangiare una pasta con la panna piccante.

Dramma delle candeline. Ti pareva che non ci fosse un dramma dietro l’angolo?
E’ il momento della torta che è stata portata in gran segreto, acquistata con cospirazioni e consultazioni. Alle candeline ho pensato io. Arriva Gigi mi chiede “ma ci sono le candeline?”
Certo! le ho date io al ragazzo questa mattina.
Ma quale ragazzo? Qui non sanno niente!

Dopo un po’ torna e mi spiega che in messico  se dai un sacchetto ad uno dicendo che ci sono dentro le candele non vale la parola “candele” o qualsiasi altra parola.
Gli hai dato un sacchetto? Un sacchetto gli devi chiedere indietro.
Se gli chiedi le candele per la festa ti dice che non le ha e non le ha mai avute.
Il sacchetto della festa sì.
Transeat.

La torta è triplo cioccolato. Alta una spanna e ricoperta di fiamme.
Per fortuna ho preso le candele magiche perché con questo vento le candele tradizionali non avrebbero resistito un minuto.
Cantano la canzone del compleanno messicana e poi anche tanti auguri.
Soffia le candele un po’ di volte e poi l’aiutiamo a smorzarle.

Auguri auguri, apertura dei regali. Ciao ciao buonanotte a tutti.
Eh fai presto tu a dire buonanotte!

Bisogna portare a casa la valigia, la composizione floreale, i due globos, altri regali e una torta che le hanno regalato perché è una delle sue preferite e quel che resta della torta cioccolatosissima.
Ovviamente io finisco con la torta al cioccolato.
Ovviamente perché era la cosa più complicata da portare. Il coperchio originale si era un po’ sminchiato (termine tecnico per i coperchi di torte!) la cioccolata si era sparsa un po’ dappertutto e mantenerla non era proprio facilissimo.
Torniamo a casa con la galu e inès a piedi, son solo due quadri!

Allora ci tengo a specificare che qui i marciapiede non sono in buone condizioni e i gradini per salire e scendere sono spesso strambi, doppi, troppo alti, con balzelli strani.
Quindi prendo un marciapiede non esattamente liscio, ondeggio, traballo ma resto in piedi però …. mi schizza dalle mani la torta e ….

SPATAAAAAAAASHHH

Mi si spiaccica la torta sul muro bianco della scuola.



Sono la peggiore, solo a me riesce di combinare casini come questo!

n.b. la foto è stata scattata il giorno dopo.
Dopo lo spetasciamento io ero ricoperta di cioccolata sin non oso dire dove. La torta è stata staccata – letteralmente staccata e questo la dice lunga sul grasso e la collosa consistenza della stessa – dal muro come meglio si poteva con le mani di tutte e tre impegnate, palloncini e il rischio di essere viste e quindi buttata nel primo bidone disponibile.
Visto che la prova ancora esisteva ne ho approfittato per immortalare la mia ennesima cazzata!